UNIONE EUROPEA - CIRCOLAZIONE PERSONE - Cons. Stato Sez. III, 14-03-2018, n. 1622

UNIONE EUROPEA - CIRCOLAZIONE PERSONE - Cons. Stato Sez. III, 14-03-2018, n. 1622

La direttiva n. 2004/38/CE del 29 aprile 2004 garantisce il diritto a lasciare il territorio di uno stato membro per recarsi in un altro a ogni cittadino dell'Unione munito di una carta di identità o di un passaporto valido (art. 4, comma 1), ma la disciplina del rilascio o del rinnovo della carta di identità o del passaporto ai propri cittadini è rimessa alla legislazione nazionale di ciascuno Stato (art. 4, comma 3). La direttiva è stata dunque correttamente trasposta dall'art. 4, comma 1, del D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 30, per il quale il diritto di lasciare il territorio nazionale per recarsi in un altro stato dell'Unione è riconosciuto al cittadino dell'Unione in possesso di documento di identità valido per l'espatrio.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4945 del 2016, proposto da:

-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Aldo Bozzi, Giovanni Crisostomo Sciacca, con domicilio eletto presso lo studio Giovanni Crisostomo Sciacca in Roma, via di Porta Pinciana, n. 6;

contro

Ministero dell'Interno, Questura di Milano, Ministero degli Affari Esteri, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

nei confronti di

-OMISSIS-, non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Lombardia, Sezione Prima di Milano n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente la restituzione del passaporto ed il mancato rilascio della carta d'identità valida per l'espatrio - risarcimento danni

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno, della Questura di Milano e del Ministero degli Affari Esteri;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 gennaio 2018 il Cons. Stefania Santoleri e uditi per le parti gli l'avvocato Giovanni Crisostomo Sciacca e l'avvocato dello Stato Attilio Barbieri;

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

1. - Con ricorso proposto dinanzi al TAR per la Lombardia il ricorrente ha chiesto l'annullamento del decreto del Questore della Provincia di Milano del 23 marzo 2015 con il quale è stato disposto il ritiro del passaporto di cui egli è titolare e l'esibizione della carta di identità e di ogni altro documento equipollente, al fine di apporvi l'annotazione "non valido ai fini dell'espatrio".

Il provvedimento è stato adottato ai sensi degli artt. 3, lett. b), e 12 della L. 21 novembre 1967 n. 1185 e degli artt. 2 e 4 del d.P.R. 6 agosto 1974 n. 649, sul presupposto della dichiarazione del 18 marzo 2015, con la quale la signora -OMISSIS- ha revocato l'assenso all'espatrio del

coniuge, che avrebbe omesso, a partire dal maggio 2014, il versamento del contributo ordinario di mantenimento delle figlie minori stabilito con l'ordinanza di separazione giudiziale del Tribunale di Milano del 12 marzo 2013.

Con lo stesso ricorso ha proposto, altresì, la domanda risarcitoria.

2. - Con la sentenza n. -OMISSIS- il TAR ha respinto il ricorso.

3. - Avverso tale decisione il ricorrente ha proposto appello chiedendone l'integrale riforma.

Si sono costituite in giudizio le Amministrazioni intimate chiedendo il rigetto dell'impugnazione.

Con memoria depositata il 23 dicembre 2017 la parte appellata ha controdedotto sulle doglianze proposte. A tale memoria ha replicato l'appellante con atto del 3 gennaio 2018.

4. - All'udienza pubblica del 25 gennaio 2018 la causa è stata trattenuta in decisione.

5. - L'appello è infondato e va, dunque, respinto.

6. - Il TAR, dopo aver richiamato la normativa applicabile alla fattispecie, ha respinto il ricorso rilevando che l'art. 12, comma 1 della L. n. 1185 del 1967, attribuisce alla Questura un potere di carattere vincolato di ritiro del passaporto che consegue necessariamente al sopravvenire di circostanze - quali l'insussistenza dell'assenso dell'altro genitore in caso di figli minori - che, ai sensi della stessa legge, ne avrebbero legittimato il diniego.

7. - Con il primo motivo di appello deduce l'appellante la violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 13, commi 1, 2 e 3, 16 e 17 Cost., dell'art. 3, lett. b) della L. n. 1185 del 1967 e dell'art. 12, comma 1, del D.P.R. n. 649 del 1974, i vizi di eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione nonché di contraddittorio endoprocedimentale.

E' opportuno richiamare preventivamente le disposizioni normative che regolano la fattispecie.

L'art. 3, lett b), della L. n. 1185 del 1967 prevede che "non possono ottenere il passaporto i genitori che, avendo prole minore, non ottengano l'autorizzazione del giudice tutelare". La norma aggiunge tuttavia che "l'autorizzazione non è necessaria quando il richiedente abbia l'assenso dell'altro genitore".

L'art. 12 della L. n. 1185 del 1967 stabilisce a sua volta che "Il passaporto è ritirato,..... , quando sopravvengono circostanze che ai sensi della presente legge ne avrebbero legittimato il diniego".

Gli artt. 2 e 4 del d.P.R. n. 649/1974 hanno poi precisato che, nei casi di ritiro del passaporto, le autorità devono provvedere ad apporre sulla carta d'identità in possesso dell'interessato, nonché sugli altri documenti riconosciuti equipollenti al passaporto ai fini dell'uscita dal territorio dello Stato, l'annotazione: "documento non valido ai fini dell'espatrio".

Ne consegue che l'espatrio dei genitori aventi figli minori è subordinato all'autorizzazione del giudice tutelare, da cui però si può prescindere in caso di assenso dell'altro genitore.

Ciò comporta che ove l'altro genitore abbia revocato il suo assenso all'espatrio, rivive l'obbligo di acquisire l'autorizzazione del giudice tutelare, in mancanza della quale il genitore è

privato della disponibilità del passaporto e degli altri documenti equipollenti ai fini dell'espatrio: il ritiro del passaporto, infatti, non è un provvedimento irretrattabile, potendo il documento essere restituito previo nulla osta del giudice tutelare competente, ovvero previo nuovo assenso dell'altro genitore.

Come ha giustamente rilevato il primo giudice, il ritiro del passaporto e l'annotazione dell'invalidità per l'espatrio sulla carta d'identità e sugli altri documenti equipollenti sono provvedimenti a carattere vincolato, in merito alla cui adozione non residua alcuna discrezionalità all'autorità amministrativa, che è invece tenuta ad adottarli sul solo rilievo della mancanza dell'autorizzazione del giudice tutelare o, in sua sostituzione, dell'assenso dell'altro coniuge.

Né l'Amministrazione è tenuta ad indagare sulle ragioni per le quali uno dei genitori abbia ritirato il suo consenso all'espatrio: per il ritiro è sufficiente il solo fatto storico costituito dal sopravvenuto mancato assenso da parte dell'altro coniuge, il che comporta l'infondatezza delle doglianze dirette a sostenere l'inconferenza delle ragioni addotte dalla ex consorte per il ritiro del proprio assenso o il difetto di motivazione dell'atto.

Né può accogliersi la tesi diretta a sostenere che, una volta venuto meno l'assenso del coniuge per il ritiro del passaporto, sarebbe necessaria l'autorizzazione del giudice tutelare: tale autorizzazione non è stata mai acquisita per il rilascio e dunque non può essere necessaria per il ritiro dell'atto.

Il passaporto, infatti, è stato rilasciato sulla base dell'assenso del coniuge, non dell'autorizzazione del giudice tutelare.

L'atto, inoltre, essendo stato rilasciato sulla base di un presupposto che è venuto meno, non può che essere ritirato, venendo altrimenti frustrate le finalità di tutela dei figli minori perseguite dalla legge: ove non fosse così, infatti, il titolare del passaporto potrebbe allontanarsi dall'Italia nonostante il mancato assenso del coniuge e la mancata autorizzazione del giudice tutelare.

Di qui la doverosità del ritiro da parte dell'Amministrazione.

Occorre ribadire, infatti, che una volta venuto meno l'assenso dell'altro genitore, l'interessato non viene privato in via assoluta del suo diritto all'espatrio, ma è solo tenuto a richiedere l'autorizzazione necessaria mediante ricorso al giudice tutelare, al quale appunto, e non all'autorità amministrativa, sono rimesse dalla legge le valutazioni in ordine alle esigenze di tutela dell'interesse dei figli minori, che operano quale limite alla libertà di espatrio dei genitori.

La Corte Costituzionale con la sentenza n. 464 del 30 dicembre 1997 ha riconosciuto che "la regola generale cui si ispira la L. n. 1185 del 1967, in tema di rilascio del passaporto al genitore di prole minore, è quella della necessaria autorizzazione del giudice tutelare, a garanzia dell'assolvimento, da parte del genitore, dei suoi obblighi verso i figli".

La Corte Costituzionale ha anche spiegato i motivi per i quali il legislatore ha derogato all'obbligo di acquisizione dell'autorizzazione del giudice tutelare in caso di assenso del coniuge, rilevando che tale assenso "escluda un consistente rischio che il richiedente si sottragga all'adempimento dei suoi doveri nei confronti del figlio, e che dunque risulti ingiustificato l'intervento autorizzativo del giudice tutelare: il quale, peraltro, ben difficilmente potrebbe negare l'autorizzazione in contrasto con l'assenso dell'altro genitore, senza sovrapporre indebitamente, in assenza di una ragione giustificatrice evidente, la propria valutazione a quella concorde dei genitori. Il legislatore ha evidentemente ritenuto che, in questa situazione, richiedere egualmente l'autorizzazione tutelare significherebbe imporre una limitazione ingiustificata, perché eccessiva, all'esercizio di quello che è pur sempre un diritto di libertà costituzionalmente garantito, e cioè della libertà di espatrio".

Ne consegue, quindi, che non è lo status coniugale a limitare la libertà di espatrio, ma l'esigenza di tutela dell'interesse dei figli minori.

Il che spiega anche perché l'autorizzazione del giudice tutelare o, in sua sostituzione, l'assenso dell'altro genitore non hanno il carattere della definitività, ma possono essere revocati e nuovamente accordati, in ragione della mutevolezza dei rapporti tra i genitori con riguardo ai reciproci obblighi nei confronti dei figli minori.

Proprio perché l'autorizzazione al rilascio del passaporto non è volta a dirimere una controversia tra diritti soggettivi dei genitori con prole minore, ma a esprimere una valutazione su una forma gestoria dell'interesse del figlio, la Corte di cassazione, sezione 1 civile, 14 maggio 2010 n. 11771 ha negato, ai fini dell'ammissibilità del ricorso straordinario per cassazione, il carattere di definitività e decisorietà della pronuncia sul reclamo avverso il decreto con cui il giudice tutelare abbia negato o concesso l'autorizzazione.

Infine, non possono condividersi neppure le doglianze relative alla violazione delle norme costituzionali: come ha correttamente rilevato il primo giudice "le richiamate disposizioni della L. n. 1185 del 1967 sono volte a garantire che il genitore assolva i suoi obblighi verso i figli e, quindi, sono chiaramente ispirate all'esigenza di tutela dell'interesse dei figli minori (come riconosciuto anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 464/1997); in quest'ottica esse devono ritenersi compatibili con le previsioni costituzionali e di rango sovranazionale ed Europeo invocate dal ricorrente".

La prima doglianza va dunque respinta.

8. - Con il secondo motivo di appello viene denunciata la violazione dell'art. 2, comma 2, del protocollo n. 4, addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, che ha avuto esecuzione in Italia con d.P.R. 14 aprile 1982 n. 217, in base alla quale "Ogni persona è libera di lasciare qualsiasi paese ivi compreso il proprio", e di altre disposizioni convenzionali, oltre ai vizi di eccesso di potere sotto diversi profili.

Tale doglianza non può trovare accoglimento.

Come ha correttamente rilevato la difesa della parte appellata, la conformità della disciplina di cui all'art. 3, lett b), della L. n. 1185 del 1967 all'art. 2, comma 2 del protocollo n. 4 si ricava proprio dalla sentenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo, seconda sezione, 2 dicembre 2009, Battista, invocata dal ricorrente.

Con questa decisione la Corte, nel pronunciarsi su un ricorso di un genitore cui il giudice tutelare aveva negato l'autorizzazione al rilascio del passaporto per il mancato rispetto degli obblighi alimentari nei confronti dei figli minori, ha osservato che "l'ingerenza si basava sull'articolo 12 della legge sui passaporti del 21 novembre 1967 (n. 1185), come modificata dalla L. n. 3 del 2003, in relazione al fatto che il ricorrente non ottemperava al pagamento dell'assegno alimentare che era tenuto a versare per i figli. L'ingerenza aveva dunque chiaramente una base legale nel diritto interno". Ha poi aggiunto che "la Corte costituzionale, nella sentenza n. 0464 del 1997, ha affermato che l'essenza dell'articolo in questione della L. n. 1185 del 1967 è "garantire che il genitore assolva i suoi obblighi verso i figli"" (punto 39) ed ha quindi ritenuto che "l'imposizione della misura in questione si prefigge di garantire gli interessi dei figli del ricorrente e di perseguire per principio un obiettivo legittimo di tutela dei diritti altrui - nel presente caso, quelli dei figli che devono ricevere l'assegno alimentare" (punto 40).

E' vero che la Corte ha rammentato che "tale misura si giustifica purché tenda all'obiettivo perseguito di garantire il recupero dei debiti in questione ..." e che "anche se giustificata all'inizio, una misura che limiti la libertà di circolazione di una persona può diventare sproporzionata e violare i diritti di tale persona nel caso in cui venga mantenuta automaticamente per molto tempo" (punto 41).

A questo riguardo la Corte ha osservato che "le autorità interne hanno l'obbligo di controllare che ogni violazione del diritto di una persona di lasciare il suo paese sia, dall'inizio e per tutta la sua durata, giustificata e proporzionata rispetto alle circostanze. Esse non possono prorogare a lungo le misure che restringono la libertà di circolazione di una persona senza riesaminare periodicamente se sono giustificate. ... Questo controllo deve normalmente essere assicurato, almeno in ultimo grado, dal potere giudiziario, perché offre le migliori garanzie di indipendenza, imparzialità e regolarità delle procedure. L'estensione del controllo giurisdizionale deve permettere al tribunale di tener conto di tutti gli elementi, ivi compresi quelli legati alla proporzionalità della misura restrittiva ..." (punto 42).

Può dunque convenirsi con l'Amministrazione che la disciplina di cui all'art. 3, lett. b), della L. n. 1185 del 1967, giustificata da un obiettivo legittimo di tutela dei diritti dei minori, come riconosciuto dalla Corte Costituzionale, appare conforme a questi principi, perché assicura il non automatismo, la proporzionalità e la temporaneità della misura restrittiva, e il controllo sulla sua legittimità da parte dell'autorità giudiziaria, proprio attraverso l'autorizzazione del giudice tutelare, i cui provvedimenti non sono definitivi, ma sempre modificabili o revocabili, e al quale l'interessato può rivolgersi in qualunque momento per ottenere il riesame della misura.

Le doglianze proposte avverso il decreto del Questore non possono quindi condividersi, in quanto le valutazioni sull'interesse dei minori, cui è subordinato il rilascio del passaporto, sono compiute dall'autorità giudiziaria e non da quella amministrativa, a cui spetta il solo compito di verificare che l'autorizzazione al rilascio del passaporto sia stata concessa dall'autorità giudiziaria, o che - in sua sostituzione - vi sia stato l'assenso dell'altro genitore.

Ne consegue che le doglianze proposte potrebbero riferirsi alla pronuncia eventualmente adottata dall'autorità giudiziaria sulla richiesta di autorizzazione, e non al provvedimento amministrativo della Questura che si limita a fotografare una situazione di fatto: quella del ritiro dell'assenso.

Peraltro, come già più volte sottolineato, la parte interessata non resta priva di tutela in quanto può agevolmente superare lo stallo derivante dal ritiro dell'assenso del coniuge rivolgendosi al giudice tutelare, e dunque l'asserita "privazione della libertà personale" non è rimessa in modo definitivo all'autorità amministrativa, ma è rimessa alla valutazione dell'autorità giudiziaria nel pieno rispetto delle norme costituzionali e convenzionali invocate.

Il secondo motivo di appello va, dunque, respinto.

9. - Neppure la terza doglianza con la quale viene dedotta la violazione dell'art. 4 della direttiva n. 38/20014/CE del 29 aprile 2004, e che dovrebbe costituire anche il parametro interposto della questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, lett. b), della L. n. 1185 del 1967 e degli artt. 2 e 4 del d.P.R. n. 649/ 1974, può essere accolta.

Come ha giustamente rilevato la difesa dell'Amministrazione, la direttiva garantisce il diritto a lasciare il territorio di uno stato membro per recarsi in un altro a ogni cittadino dell'Unione munito di una carta di identità o di un passaporto valido (art. 4, comma 1), ma la disciplina del rilascio o del rinnovo della carta di identità o del passaporto ai propri cittadini è rimessa alla legislazione nazionale di ciascuno Stato (art. 4, comma 3).

La direttiva è stata dunque correttamente trasposta dall'art. 4, comma 1, del D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 30, per il quale il diritto di lasciare il territorio nazionale per recarsi in un altro stato dell'Unione è riconosciuto al cittadino dell'Unione in possesso di documento di identità valido per l'espatrio.

Come si ricava agevolmente dalla premessa, la direttiva aveva infatti come scopo quello di rafforzare la libertà di circolazione e soggiorno nel territorio dell'Unione Europea, attribuendo al cittadino dell'Unione una serie di diritti esercitabili nei confronti degli stati ospitanti e di correlativi obblighi di questi ultimi nei suoi confronti, ma non aveva anche lo scopo di uniformare le legislazioni nazionali degli Stati membri circa le condizioni e i limiti cui ciascuno subordina il rilascio dei documenti validi per l'espatrio ai propri cittadini.

Anche tale doglianza può essere, quindi, respinta-

10. - Le suesposte argomentazioni rendono irrilevante per la decisione della causa della questione di compatibilità con il diritto Eurounitario e la questione di legittimità costituzionale dedotta dall'appellante a pag. 15-16 dell'atto di appello.

11. - L'infondatezza dell'appello, cui consegue l'infondatezza del ricorso di primo grado, comporta il rigetto della domanda risarcitoria.

12. - Le spese del grado di appello seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l'effetto, conferma la sentenza di primo grado che ha respinto il ricorso di primo grado.

Condanna l'appellante al pagamento delle spese processuali del grado di appello che liquida in complessivi Euro 2.000,00 oltre accessori di legge, se dovuti.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le persone fisiche indicate in motivazione.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 gennaio 2018 con l'intervento dei magistrati:

Franco Frattini, Presidente

Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere

Massimiliano Noccelli, Consigliere

Stefania Santoleri, Consigliere, Estensore

Giorgio Calderoni, Consigliere


Avv. Francesco Botta

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